Testo di Piero COMELLI, tratto dal volume 30 anni di storia della sezione.

Foto di Fabrizio DELMATI, componente la spedizione e fotografo professionista.

Spedizione della sezione di Bovisio Masciago del 1974.
Componenti: Pierluigi Airoldi, Alfredo Arnaboldi, Guido Della Torre, Romeo Arienta, Don Francesco Ceriotti, Piero Comelli, Fabrizio Delmati , Luciano Lovato, Augusto Rigamonti.

 

 

AFGANISTAN 74 TRENTANNI DOPO.


Piero COMELLI past president sez. C.A.I. di Bovisio Masciago.
 
PREMESSA.


Nell’arco di trentanni tante cose cambiano!
Cambiano le genti, i paesi, gli alpinisti e soprattutto i loro ricordi che, a secondo degli stati d’animo e dei momenti vengono rivissuti e raccontati in modo diverso dalla realtà.
Ritengo doveroso nel ricordo dell’accademico Guido Dalla Torre e nel trentennale della spedizione a Lui spiritualmente dedicata, stilare queste brevi note per affermare con la maggior chiarezza possibile, l’impegno assoluto e prioritario della nostra sezione e di tutti i soci nella realizzazione dell’iniziativa e per descrivere, così come risultante dalla relazione ufficiale dell’epoca gli itinerari percorsi, le vette salite, le reali quote raggiunte e le difficoltà superate, dati che, anche recentemente su questa nostra rivista, sono stati pubblicati in modo distorto, e dove sono comparse nel ruolo di organizzatori persone sconosciute ed estranee alla nostra sezione.
“Il 14 agosto 1974, pochi giorni dopo il rientro dall’Afghanistan, l’accademico Guido DELLA TORRE , vice capo spedizione, periva col suo compagno di cordata, accademico Pietro GILARDONI, sulla via Mayor al Monte Bianco travolto dalla caduta di un seracco.
A Guido, alla sua memoria, al suo ricordo incancellabile i compagni desiderano che la spedizione venga spiritualmente dedicata.”

PRESENTAZIONE.


Il proposito di organizzare una spedizione alpinistica extraeuropea nasce, nell’animo di alcuni soci della Sezione già nel 1971 ma dei contrattempi di natura alpinistica lo fanno accantonare sino al settembre del 1973 quando, tirando le somme di una consistente attività estiva, l’idea prende definitivamente consistenza.
Viene deciso che, per sempre maggiormente incrementare le iniziative della Sezione e per una continua affermazione dell’Alpinismo italiano nel mondo, venga organizzato da parte della Sezione e per il 1974 una spedizione Alpinistica in Afghanistan e più precisamente nella catena dell’Hindu-Kush.
I primi contatti informativi vengono presi con coloro che hanno già fatto un’esperienza personale nella zona a noi interessante; molto producente ed entusiasmante risulta la proiezione di diapositive che viene fatta da Romano Perego, relativa ad una sua precedente spedizione, lo scambio di corrispondenza con Mario Fantin che ci indirizza al reperimento della necessaria cartografia e, soprattutto, i colloqui personali avuti con Francesco Saladini di Ascoli Piceno (vedi R.M. dell’agosto 1973) e con Adolf Diemberger di Salisburgo che ringraziamo per la cortesia dimostrata nel fornirci la documentazione richiesta. Le cognizioni che ricaviamo da tutta questa messe di informazioni ci permettono di porre le basi dell’organizzazione generale.
La scelta dell’obbiettivo da raggiungere pensiamo sia uno dei problemi principali che ogni spedizione debba affrontare specie se questo va scelto fra mille e mille possibili e tutti degni per un verso o per l’altro di particolare attenzione.
Inizialmente la nostra scelta si è portata verso due direzioni che avevano come punto di partenza comune la località di Faizabad, capoluogo del Badahkschan; da qui la spedizione avrebbe dovuto dirigersi o ad est verso il Whakhan per tentare la salita del M10 (che a quella data risultava ancora inviolato) oppure dirigersi verso il nord nel tentativo di raggiungere, passando per le alte terre già descritte da Marco Polo, attraverso l’area dello Shiwa Lake ancora quasi del tutto sconosciuta agli europei, una cima inviolata alta 19.075 piedi situata nell’estremo nord dell’Afghanistan e più esattamente a 38° alt. N e 71° long. E, in una zona per la quale, nonostante lo sforzo di ricerca compiuto, non è stato possibile raccogliere alcun dato informativo né tanto meno illustrativo.
In definitiva proprio l’aureola di verginità che circondava questa zona ci fa decidere per tale obiettivo.
Non ci nascondevamo a questo punto le difficoltà burocratiche che ci attendevano per l’ottenimento in Italia delle autorizzazioni, in considerazione dei particolari momenti politici che stava attraversando l’Afghanistan, né altresì erano rincuoranti le notizie che ci pervenivano tramite la nostra ambasciata a Kabul ma, alla fine, e grazie al cortese e fattivo interessamento dei funzionari dell’Ambasciata Afgana di Roma, ai quali va il nostro ringraziamento, entriamo in possesso dei visti necessari alla spedizione.

PERIODO DELLA SPEDIZIONE.


In base alle informazioni avute e alle notizie reperite si ritiene che le condizioni ambientali migliori per l’attività che la spedizione si propone, si possano trovare nel periodo fine giugno metà agosto.
La durata della spedizione, tenuto conto dei viaggi di trasferimento e del tempo necessario alla realizzazione dell’impresa, è prevista in quaranta giorni.
La partenza dall’Italia avverrà pertanto verso la fine del mese di giugno ed il rientro intorno alla prima decade di agosto. Basandosi sulle precedenti esperienze acquisite dalle altre spedizioni vengono imballati tutti i materiali e racchiusi in sacchi di robusta tela (tipo Posta) cercando di non superare i 30 Kg per collo. Il complesso dei materiali, comprensivo degli effetti personali raggiunge così i 1000 Kg.
La spedizione è ora pronta per la partenza che avviene il 3 luglio da Milano. Alle ore 10 locali del 4 luglio, dopo aver fatto scalo a Roma, Beyruth e TeHeran, giungiamo all’aeroporto di Kabul dove, con nostra grande gioia, veniamo accolti fraternamente da Padre Angelo Panigati che provvede a sistemarci in città in attesa dei visti complementari che ci devono venire rilasciati in loco dagli uffici Ministeriali competenti e che otterremo in tre giorni.
Esaminate le possibilità che ci si presentano per raggiungere Faizabad decidiamo unanimemente per l’aereo ed allo scopo di guadagnare tempo organizziamo un volo “charter” su di un piccolo aereo che a malapena tutti ci contiene.
Otteniamo dal governatore di Faizabad le autorizzazioni a proseguire ed il giorno 11, dopo aver provveduto a noleggiare uno dei ben noti autocarri che si avventurano su quelle così dette “strade” la spedizione parte per Borak, località nella quale, pur con l’aiuto del Comandante locale della Polizia non riusciamo a formare una carovana per proseguire; puntiamo allora su Formorah dove, sempre con la collaborazione del comandante che ci ha seguiti riusciamo nell’intento.
Il giorno 12 la nostra carovana formata da una ventina di animali è in marcia e , passando per il colle Bam-Darah, le alte terre ed il villaggio di Shirnaz, il giorno 15 raggiungiamo lo Shiwa Lake.
Comprendiamo a questo punto che le possibilità di raggiungere la vetta sita nell’estremo nord in tempo utile per compiere il viaggio di ritorno nei termini prefissati è subordinata ad un alleggerimento della spedizione.
Decidiamo concordemente che 3 componenti si fermino allo Shiva Lake ed operino sulle vette che lo circondano, mentre il resto della spedizione, alleggerita dei carichi maggiori, prosegua per raggiungere il lontano obiettivo; ma ciò non sarà possibile per la constatata impossibilità di formare una nuova carovana nel villaggio di Sheghnon (Qala Bar Panya).
Riteniamo doveroso far rilevare che tale località da poco tempo è raggiungibile direttamente via aerea con un notevole risparmio di tempo valutabile fra andata e ritorno in circa 10 giorni.
Il giorno 18 vedeva il gruppo ricostituito sulle rive dello Shiwa Lake pronto ad iniziare l’attività alpinistica.

ATTIVITA’ ALPINISTICA.


KOH-I-BLANK – 4.650mt.
(Cresta Sud – 19 Luglio 1974).
Primi salitori: Augusto Rigamonti – Luigino Airoldi – Guido Dalla Torre – Luciano Lovato – Fabrizio Delmati.
Dal campo base Shiwa Lake 3.100mt oltrepassare a destra il torrente. Superare un piccolo villaggio e continuare senza possibilità di errore per una traccia di sentiero che termina ai pianeggianti pascoli. Seguire ora verso nord alcune tracce di sentiero, oltre uno spalto assai panoramico, entrare nel vallone dal quale si vede benissimo l’intero sviluppo della cresta sud. Lasciare le tracce di sentiero e attraversare in leggera discesa il vallone in direzione di un canale erboso-roccioso molto evidente che porta (attenzione alle pietre e all’erba scivolosa!!!) ed un colletto della cresta con sella detritica (ore 3). Si attacca per una placca, più avanti un diedrino strapiombante (IV) poi sempre il più possibile sul filo per numerose lunghezze (III e II).
Sotto l’ultimo e inaccessibile salto della punta Sud traversare un facile canale verso sinistra (pericolosissimo per le pietre). Si raggiunge così uno sperone secondario che si risale con arrampicata più difficile per diedrini (III+) tenendosi sempre a sinistra del filo fino in vetta (ore 5 dall’attacco). Discesa in un ampio canale sulla destra della cresta (possibile scendere in arrampicata). Si arriva così in un valloncello che si risale in breve fino alla sella detritica. Da qui si scende nel vallone fino a ritrovare le tracce di sentiero che portano al Shiwa Lake (campo base). In complesso una salita di 1550mt di dislivello dei quali circa 800mt di arrampicata su cresta rocciosa interessante.
KOH-I-BAGHI-BALA – 4.470mt.
(Parete N-NO – 21-22-23 Luglio 1974).
Primi salitori: Luigino Airoldi – Alfredo Arnaboldi - Augusto Rigamonti - Luciano Lovato – Guido Dalla Torre – Fabrizio Delmati.
Dal campo base si risale lungo la carovaniera in direzione ovest e dopo un breve tratto si gira a sud in direzione della punta sud-occidentale del lago alla quale si arriva attraverso un vallone.
Si contorna il lago e si risale la valle del suo immissario per tracce di sentiero.Ad un certo punto la valle si divide in due e si prende il ramo in direzione S.S.E.
Si attraversa il fiume e si pone il bivacco a quota 3600mt ai limiti di una morena. Si risale diagonalmente la morena e si raggiunge il circolo glaciale alla base della parete N.N.O. a circa 3800mt. Si attacca la parete sulla verticale della vetta; dopo un breve tratto la pendenza aumenta sensibilmente e si procede nel ghiaccio vivo ricoperto da pochi centimetri di neve inconsistente.
Per le nostre soste sulle ultime lunghezze di corda piantiamo dei chiodi di assicurazione. L’uscita è molto ripida e si intagliano parecchi gradini nel ghiaccio e si usa qualche chiodo per superare gli ultimi metri quasi verticali. Superato il salto si continua per una cresta nevosa ed in breve si arriva alla vetta a quota 4.470mt.
Discesa per un breve tratto lungo la cresta N.E. fino a dove si può raggiungere ancora la parete nella sua parte inferiore. Bivacco nello stesso posto del giorno precedente, ritorno al campo base nella giornata successiva.
KOH-I-SOGIAT – 4.350mt.
(Cresta Ovest – 17 Luglio 1974).
Primi salitori: Alfredo Arnaboldi.
Dal campo base posto sulla riva del ramo settentrionale del lago Shiwa si imbocca la valle percorsa dall’immissario che si snoda prima in direzione N.N.O. e poi piega decisamente a N., si risale la valle sulla destra (orografica) per tracce di sentiero. Arrivati all’inizio di un grandissimo pianoro a circa 3.350mt si gira a E. e si risale un vallone sul fondo del quale scorre un torrente (il primo dall’inizio della valle) per sfasciumi misti ad erba e si supera il ripido salto che conduce alla base del ghiacciaio.
Giunti nel circolo glaciale (3.800mt) si sale, per un ripido pendio a tratti di ghiaccio vivo in direzione E.S.E. ad un colle (4.020mt) ometto della cresta Est. Da qui si prosegue per la cresta su rocce rotte, chiazze di neve, brevi tratti di pareti facili fino all’anticima quota 4.310mt. La cresta poi piega decisamente ad Ovest e con un lungo tratto di salite e discese si arriva sulla cima a 4.350mt. Discesa per la stessa via.
KOH-I-SHIVA – 4.220mt.
(Cresta Est – 22 Luglio 1974).
Primi salitori: Piero Comelli.
Dal campo base risalire lungo le tracce di sentiero le estese chine detritiche che formano la base della costiera che fronteggia a Sud la catena del Koh-i-Blank.
Oltrepassato l’ultimo piccolo villaggio ed entrati nel circolo terminale della vallata piegare decisamente a sinistra (N.) per portarsi alla base del versante Nord della montagna che si presenta da qui con una aperta parete di misto alta circa 550mt costituita nella sua metà inferiore da rocce di scarsa consistenza. Si preferisce risalire il canale nevoso che porta al colle sito fra l’anticima Est e la vetta. Per pendio nevoso e per facili gradini rocciosi si perviene a tale colle (4.020mt). Dal colle la cresta Est si presenta, tenendone il più possibile il filo, con una successione di lastre inclinate di buona roccia che con divertente arrampicata portano alla base del dente finale che viene risalito per due diedri di ottima roccia. Salita PD, dislivello 1.100mt dal campo base.

PENSANDO A QUELLA GENTE (Don Francesco Ceriotti).


Ventotto ore circa di viaggio e siamo nel cuore di un altro mondo:l’Asia, l’Afghanistan. Visto dall’aereo questo paese dà una forte emozione, una stretta al cuore. Si ha l’impressione di sorvolare una terra bruciata, priva di vita, rotta da profondi solchi aridi, macchiata qua e là da chiazze di verde, solcata da rari rigagnoli d’acqua: fa quasi paura. Giungendo sopra Kabul, circondata da alte montagne, ci si chiede dove mai potrà posarsi il pesante Boeing 727. qualche minuto dopo tocchiamo terra: ci avvolge un mondo tanto diverso da quello lasciato 28 ore prima a Linate. Cerchiamo istintivamente un volto amico (tutto ci sembra così estraneo, impenetrabile); vediamo sul terrazzo Padre Angelo Panigati che ci saluta agitando le braccia.
Tiriamo un sospiro di sollievo, si riprende un po’ di coraggio e si passa la dogana. Poi l’impatto con un paese che, stando quasi al centro dell’Asia, è un punto di incontro e scontro delle varie componenti di questo immenso continente.
Il sole è impietoso, non dà tregua, è avaro di ombra, sembra sempre allo zenit; pare che voglia toglierti di dosso tutto quanto ti sei portato dall’Europa (e in parte ci riuscirà). Il paesaggio visto dal di dentro conferma solo in parte l’impressione avuta in aereo: terre riarse, gole profonde, canyons enormi, montagne accartocciate oppure fatte di sassi e terra, ma anche zone verdi, immense praterie a 3.000 metri d’altezza, splendidi laghi d’acqua sorgiva di un azzurro incantevole, e poi tanto sole, tanto vento, tanta polvere.
Dentro questo paesaggio dagli aspetti contrastanti, la realtà più sconvolgente (per noi europei): l’uomo. Di uomini ne abbiamo visti “molti” (relativamente) a Kabul e nei centri più importanti, “pochi” sugli altopiani dove abbiamo vissuto venti dei trentadue giorni della spedizione. Sono stati proprio i “pochi” degli altopiani che ci hanno rivelato la realtà umana di questa gente, una realtà (già si è detto) che sconvolge, che urta perché improvvisamente e senza possibilità di fuga mette in discussione il modo “europeo” di concepire la vita, di essere uomini. Da noi il tempo, le cose, gli avvenimenti, la ricchezza, la povertà, il pulito, lo sporco, sono delle realtà che condizionano l’essere uomo. Fra la gente afgana abbiamo avuto l’impressione che non sia così: abbiamo visto uomini con addosso la povertà in forme da noi nemmeno immaginabili, eppure fieri e capaci di donare qualcosa. Ci hanno donato la loro cordialità autentica fatta di piccole cose, insignificanti (a prima vista) alla nostra sufficienza, sconosciuta all’abitudine sospettosa dell’europeo ma rivelatrice di una ricchezza interiore fatta di rispetto per l’ospite che arriva nel loro Paese.
La tenda piantata dal capo del villaggio per ripararci dal sole mentre si discuteva il reclutamento dei cavalli, il pane offerto da un capo tribù dei nomadi sugli altopiani o quello messoci nelle mani da un vecchio a cui l medico della spedizione aveva guarito una brutta ferita, il formaggio insipido di un altro, il ruscelletto deviato verso la nostra tenda per risparmiarci la fatica di attingere l’acqua e tanti altri piccoli fatti, sono ancora presenti nell’animo dei componenti la spedizione come richiamo ad un valore purtroppo perso ( o almeno offuscato) dalle nostri parti.
Ci hanno donato la povertà. Può sembrare, questa un’affermazione retorica; al contrario, è l’espressione inadeguata di una esperienza difficilmente esprimibile.
Quella gente ci ha mostrato senza paura o vergogna i suoi bisogni, le sue necessità chiedendo, non mendicando, un aiuto. La sua era una richiesta insistente che a volte ci faceva spazientire, ma che rivelava una serena fiducia in chi stava di fronte (nel caso eravamo noi). Abbiamo avuto così la sensazione di incontrare la saggezza che sta nella povertà della nostra ricchezza fatta di esteriorità, condizionata dal tempo, dallo sporco o dal pulito e da cose del genere. Abbiamo conosciuto un paese geograficamente molto vasto, tanto esteso da sconvolgere tutte le nostre previsioni e da far saltare i tempi previsti per la esecuzione dell’impresa, abbiamo conquistato quattro vette inviolate, ma soprattutto su quegli altopiani immensi abbiamo incontrato l’uomo. Questo incontro ha reso più vera l’impresa alpinistica.

CONCLUSIONI.


Anche se da un esame superficiale potrebbe sembrare che la Spedizione non abbia pienamente conseguito i risultati che si proponeva e cioè la salita della vetta di 19.075 piedi situata a Nord di Qala-Bar-Panya a causa della dimostrata impossibilità di costituire una nuova carovana in tale località e del notevole tempo impiegato nel raggiungerla (contrariamente alle informazioni assunte in Italia che davano possibile l’impiego di automezzi tipo Land-Rover), possiamo affermare che la nostra spedizione, sia da un punto di vista alpinistico ed ancor più da quello esplorativo, ha portato il suo contributo alla conoscenza di questa parte dell’Afghanistan che da anni, vuoi per motivi politici che limitavano il rilascio delle autorizzazioni o per motivi di richiamo forniti dal più famoso ed accessibile Whakhan, era stata trascurata, ed a torto, dalle tante spedizioni che in luogo avevano operato. Si tratta di una nuova zona che si apre agli alpinisti che troveranno, lungo le interminabili piste attraverso le alte terre già descritte da Marco Polo, in una natura ancora incontaminata e poi sulle vette ancora da scoprire, un vasto campo per la loro attività, in una parte del mondo in cui sembra che il tempo si sia fermato.
P.S. Queste conclusioni non potevano di certo prevedere i tragici avvenimenti che negli anni a venire dovevano coinvolgere questo Paese e le sue Genti.